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Differenze tra le versioni di "Ermeneutica"

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L'ermeneutica è in filosofia la metodologia dell'interpretazione. La parola deriva dal greco antico ἑρμηνευτική (τέχνη), in alfabeto latino hermeneutikè (téchne), traducibile come (l'arte della) interpretazione, traduzione, chiarimento e spiegazione. Essa nasce in ambito religioso con lo scopo di spiegare la corretta interpretazione dei testi sacri.

In seguito il termine assume un respiro più ampio tendente a dare un significato a tutto ciò che è di difficile comprensione. In questo senso può essere vista come la teoria generale delle regole interpretative.

Oggi si parla anche di ermeneutica giuridica<ref>Anche nel diritto musulmano; si veda in proposito Igtihad</ref> e di ermeneutica artistica, che sono rispettivamente la metodologia dell'interpretazione delle norme giuridiche e delle opere d'arte. Tuttavia, il compito dell'ermeneuta non si esaurisce nella lettura o nella statuizione del metodo interpretativo: il dialogo con le religioni (Hans-Georg Gadamer) e il pensiero politico (Jürgen Habermas) si declinano tuttora secondo quello che viene chiamato circolo ermeneutico.

Piuttosto sorprendentemente (date le sue origini), l'ermeneutica ha influenzato alcuni studiosi di intelligenza artificiale che hanno trovato inadeguato l'approccio cognitivista o quello dell'elaborazione delle informazioni per capire il pensiero umano.

Analisi storica

Dilthey

Nel XIX secolo Wilhelm Dilthey affermò la centralità del processo della comprensione all'interno delle scienze dello spirito, e fondò questa asserzione su una ontologia della vita, secondo la quale il comprendere non è un comportamento teorico specialistico, ma il rapporto fondamentale che l'uomo intrattiene con se stesso. Per Dilthey spiegare e comprendere non si differenziano come due metodi diversi per chiarire un oggetto omogeneo, ma sono due diverse direzioni della coscienza che giungono a costituire due differenti categorie di oggetti (agli oggetti dello spiegare corrispondono le scienze empiriche; agli oggetti del comprendere, le scienze storico-sociali). Il comprendere può essere articolato in una metodologia logico-transcendentale specifica per scopi teorici particolari; più in generale, però, la circolarità della comprensione è il modo in cui la vita si riferisce a se stessa, impegnando tutte le facoltà dell'animo (intelletto, sentimento e verità). Dilthey applicò l'ermeneutica metodologica, cercando di provvedere interpretazioni sistematiche e scientifiche situando ogni testo nel suo contesto storico originario. Dopo Dilthey, la disciplina dell'ermeneutica si è distanziata da questa operazione centrale e fondamentale, estendendosi anche ai multimedia e alle basi dei significati stessi.

Heidegger

Nel XX secolo Martin Heidegger spostò il problema centrale nella sua ermeneutica filosofica dall'interpretazione di testi alla comprensione ontologica, che lui considerava come un essere-nel-mondo diretto, non mediato da testi o altri simboli, e quindi un essere più autentico e non semplicemente come un presupposto empirico per la conoscenza. L'ermeneutica diventa analitica delle condizioni dell'esistenza, e il testo Heideggeriano un medium espressivo. Nonostante Heidegger venga annoverato tra i maggiori filosofi del novecento, aspre critiche gli vennero mosse dalla Scuola di Francoforte, in particolare da Theodor Adorno, che considerava "gergale" il linguaggio della filosofia heideggeriana e perciò comprensibile solo per chi avesse dimestichezza con il suo "dialetto filosofico".

Gadamer

Uno dei problemi fondamentali dell'ermeneutica resta quello di dare un'oggettività all'interpretazione data, indipendentemente da chi esegue l'interpretazione e dal contesto storico in cui avviene tale interpretazione. Fondamentali in questo senso i contributi di Hans-Georg Gadamer.

Classificare l'ermeneutica come metodo filosofico è solo parzialmente corretto. È possibile anche un approccio ontologico. La nozione originaria del termine, invalsa nella dottrina teologica classica, effettivamente intendeva l'ermeneutica come la tecnica della corretta esegesi dei testi sacri (un esempio è l'uso che ne fa la tradizione luterana).

Però l'autore che ha maggiormente contribuito alla diffusione del termine, appunto Gadamer, sin dalle prime pagine della sua opera principale, Verità e metodo, ha messo in chiaro come la sua riflessione ermeneutica mirasse, più radicalmente, a rivelare il carattere universale (ossia presente in ogni forma di sapere) del fenomeno del comprendere e, correlativamente, a indagarne - per dirla con termini kantiani - le condizioni di possibilità, ossia le strutture trascendentali che ne rendono sempre di nuovo possibile la genesi nel pensiero umano. In questo senso, l'attenzione di Gadamer, sulla scia dell'insegnamento heideggeriano<ref>Cfr., in particolare, par. 32 di Essere e tempo.</ref> si rivolge soprattutto alla figura della precomprensione (Vorverständnis), ossia alla tendenza che il pensiero - allorché si accinge intenzionalmente a conoscere qualcosa, in particolare il significato di un testo scritto - mostra ad attribuire all'ente conoscendo un senso in qualche misura preconcetto, il quale, peraltro, non è del tutto arbitrario in quanto riflette il senso in cui la tradizione della comunità di cui fa parte il ricercatore assume quell'ente. Anzi, la messa a fuoco del carattere necessario della precomprensione in ogni forma di sapere conduce Gadamer a prendere le distanze dalla tradizionale visione gnoseologica dell'illuminismo, secondo cui la conoscenza consiste in una credenza che un soggetto nutre rispetto ad un oggetto ben distinto da sé - conoscenza che è tanto più adeguata quanto più netta è la reciproca autonomia dei due termini. Infatti, secondo Gadamer, se ogni ricercatore inizia la sua tipica attività solo a partire da una precomprensione del senso di ciò che si propone di conoscere, allora bisogna convenire che tra i due termini non si può dare alcuna separazione originaria e, in ultima analisi, che essi sin dall'inizio insistono entro una dimensione unica.

L'ermeneutica, in questa più caratterizzante accezione ontologica, ha esercitato un vasto e tuttora fecondo influsso nei principali territori delle discipline tradizionalmente definite scienze umane: dalla critica letteraria all'interpretazione giuridica. In quest'ultimo campo, in particolare, essa ha prodotto risultati propriamente rivoluzionari rispetto alla tradizionale visione del cosiddetto positivismo giuridico (es., in Italia, Emilio Betti; in Germania, Arthur Kaufmann).

Le tecniche dell'ermeneutica

Nell'interpretare un testo l'ottica ermeneutica considera ciò che il linguaggio dice, ma anche ciò che esso presuppone, non dice, implica.

Se facciamo riferimento ad un testo sacro la metodologia per rivelare o restituire un testo pone almeno due questioni:

  • quale autorità dare agli scrittori (perché il termine stesso di autore pone esso stesso dei problemi) del testo biblico, del testo ispirato, della verità rivelata?
  • fino a che punto l'interpretazione del lettore deve essere tenuta in conto e considerata valida (a confronto con la tradizione religiosa e con una lettura collettiva rappresentativa di un gruppo fedele a tale tradizione)?

È necessario dunque chiarirsi su quali siano le tecniche dell'ermeneutica. Il linguaggio stesso dell'arte - intesa come ispirazione e produzione - è qualcosa che esorbita i limiti di comprensibilità.

  • tutto ciò che risulta ineffabile è a buon diritto escluso dalla storia?
  • Se in Gadamer l'esperienza extrametodica di verità può darsi solo in funzione di una fusione degli orizzonti nel dialogo col Testo (o con l'Altro) - dove risiede e in cosa consiste la distanza che ci separa?

I casi più famosi

Le applicazioni più tipiche dell'ermeneutica sono quelle relative ai testi sacri. Tuttavia possono essere considerati casi noti di difficoltà ermeneutica anche il pensiero di Aristotele, soprattutto nei suoi rapporti con i fondamenti medievali della filosofia e della teologia cattolica, il pensiero di Machiavelli e la sua funzione nello sviluppo di una Scienza della politica, il pensiero di Marx in gran parte addirittura sconosciuto ai marxisti della Rivoluzione d'ottobre (1917) ed il pensiero di Gramsci, soprattutto in relazione al messaggio da lui lasciato nei Quaderni del carcere.

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