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Spleen

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La parola spleen deriva dal greco splēn: in Inglese significa "milza".

In francese, spleen rappresenta la tristezza meditativa o la melanconia. Il termine venne reso famoso durante il Decadentismo dal poeta francese Charles Baudelaire, ma era utilizzato anche anteriormente, in particolare nella letteratura del Romanticismo.

La concezione di spleen e di melanconia deriva dalla medicina greca degli umori: uno di questi era la bile, prodotta dalla cistifellea. Questo concetto si ritrova anche nel Talmud, legata alla milza come organo del riso. In Cina lo spleen è uno dei fondamenti del carattere e si pensa che influisca sull'umore.

Lo spleen decadente

Lo spleen decadente è una forma particolare di disagio esistenziale le cui motivazioni non risiedono in episodi specifici, ma rimandano alla natura sensibile del poeta nel suo complesso, alla sua incapacità di adeguamento al mondo reale. Lo Spleen, a differenza del tedium vitae leopardiano non produce riflessività sulla condizione umana, ma si esprime a livello artistico con la descrizione degli effetti opprimenti e terribili dell'angoscia esistenziale.

Il ciclo degli Spleen di Baudelaire

La parola spleen deriva dal greco splēn: in Inglese significa "milza".

In francese, spleen rappresenta la tristezza meditativa o la melanconia. Il termine venne reso famoso durante il Decadentismo dal poeta francese Charles Baudelaire, ma era utilizzato anche anteriormente, in particolare nella letteratura del Romanticismo.

La concezione di spleen e di melanconia deriva dalla medicina greca degli umori: uno di questi era la bile, prodotta dalla cistifellea. Questo concetto si ritrova anche nel Talmud, legata alla milza come organo del riso. In Cina lo spleen è uno dei fondamenti del carattere e si pensa che influisca sull'umore.

Lo spleen decadente

Lo spleen decadente è una forma particolare di disagio esistenziale le cui motivazioni non risiedono in episodi specifici, ma rimandano alla natura sensibile del poeta nel suo complesso, alla sua incapacità di adeguamento al mondo reale. Lo Spleen, a differenza del tedium vitae leopardiano non produce riflessività sulla condizione umana, ma si esprime a livello artistico con la descrizione degli effetti opprimenti e terribili dell'angoscia esistenziale.

Il ciclo degli Spleen di Baudelaire

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Quattro sono i componimenti che, nella prima sezione dei I fiori del male dello scrittore francese Charles Baudelaire, si presentano sotto questo titolo; l'ultimo di tale breve ciclo è senza dubbio il più celebre. Da esso emerge che il poeta si sente estraneo ad un mondo che lo rifiuta e, conscio della propria incapacità di trasformarlo, assiste impotente al tramonto di ogni speranza e alla vittoria dell'angoscia, che diventa tragico emblema di tutto il suo essere. I termini e il tono della poesia conferiscono al sentimento analizzato la concretezza di un male che è anche fisico oltre che psicologico. Della poesia rimangono impresse soprattutto le immagini di soffocante chiusura (analogia cielo-coperchio, Speranza-pipistrello imprigionato), di umido (soffitto marcio-pioggia) e di incapacità di elevazione a causa dell'angoscia: "Angoscia infilza sul mio cranio, dispotica, il suo vessillo nero".


Quando come un coperchio, il cielo basso e greve
schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio,
e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte
fa del dì una tristezza più nera della notte,
quando la terra si muta in umida cella segreta
dove sbatte la Speranza, timido pipistrello,
con le ali contro i muri e con la testa nel soffitto marcio;
quando le immense linee della pioggia
sembrano inferriate di una vasta prigione
e muto, ripugnante un popolo di ragni
dentro i nostri cervelli dispone le sue reti,
furiose ad un tratto esplodono campane
e un urlo lacerante lanciano verso il cielo
che fa pensare al gemere ostinato
d'anime senza pace né dimora.

-Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente, nel mio cuore: Speranza
piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra
infilza nel mio cranio il suo vessillo nero.


Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l'horizon embrassant tout le cercle
Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l'Espérance, comme une chauve-souris,
S'en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quand la pluie étalant ses immenses traînées
D'une vaste prison imite les barreaux,
Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Des cloches tout à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrément.

- Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,
Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.