Nova polemica/Prologo dell'editore
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Template:Capitolo Mi sono messo a rubare il mestiere ai miei autori, poichè divento scrittore anch'io. Già chi bazzica col lupo impara ad urlare ed io bazzicando cogli autori ho imparato a far prefazioni.
Gli autori le fanno a modo loro, secondo i precetti dell'arte, per disporre i lettori alla benevolenza. Io mi contento di una parte più modesta; quella del cane che sta sull'uscio per abbaiar dietro ai ladri.
Oh quanti ladri!
Ad un altro libro di questo stesso autore, premisi alcune righe dove mi dolevo pubblicamente dei furti di cui sono vittima e della nessuna efficacia della legge a proteggermi. Da quel tempo sono succedute molte cose.
Io mi sono ingegnato di far sequestrare le contraffazioni dei libri editi da me, ho insistito, ho reclamato, ho scritto, ho telegrafato, ho insomma fatto di tutto per svegliare i sette dormienti e far intendere che un furto è un reato di azione pubblica, anche quando il derubato è un editore. A Milano un Congresso votò un ordine del giorno diretto ad ottenere una più efficace tutela della proprietà letteraria e S. E. il Ministro Guardasigilli scrisse una splendida circolare ai suoi dipendenti, invitandoli a tenere gli occhi aperti ed a procedere severamente contro i malfattori.
Finalmente posso dire di non aver buttato via il fiato coi miei reclami! Finalmente posso dire di aver ottenuto un risultato magnifico, pratico, insperato!... Infatti mi hanno subito contraffatto anche questo libro, e mi tocca stamparlo a buon mercato per far concorrenza ai ladri.
I ladri rispondono con nuovi furti alle mie lagnanze ed alle circolari di S. E. il Guardasigilli, e se debbo dire il vero osservando la faccenda dal loro punto di vista non hanno tutti i torti. È vero, che la legge, fatta bene o fatta male, c'è pure; ma poichè non si eseguisce, poichè è divenuta consuetudine l'impunità, perchè dovranno rinunciare al loro guadagno? I ladri scherniscono la giustizia, ma poichè la giustizia si contenta di farsi schernire, perchè levar loro questo gusto innocente?
La legge? Oh, la legge, che bella cosa!
Essa ordina che di ogni libro si faccia deposito. I contraffattori naturalmente se ne guardano bene e sembrerebbe che almeno per questo titolo si dovesse procedere d'Ufficio. Io, per non aver fatto il deposito a Modena, bensì a Bologna, fui condannato, come dissi in altra mia prefazione; ma io sono un editore onesto che ho sbagliato in buona fede, dunque sono degno della condanna. L'editore disonesto invece che non eseguisce depositi e strappa parecchi articoli della legge che non gli tornano comodi, non è nemmeno cercato; tutt'al più, dietro ai reclami ed alle denunzie dei derubati, si va lemme lemme a fargli un sequestro! E che sequestri! Io denunciai un libraio che vendeva pubblicamente contraffazioni di libri miei: la polizia accorse cum fustibus et lanternis, frugò, verbalizzò e sequestrò... imaginate?... sequestrò le edizioni mie e lasciò le contraffatte. Badate, non è una satira; è una verità sacrosanta e m'è accaduta due volte.
Del resto non è un segreto che le falsificazioni si compiono impunemente in una sola città d'Italia. Non è un segreto, od almeno è il segreto di Pulcinella. Peccato che l'autorità la quale avrebbe il dovere di tutelare i nostri diritti, subisca anch'essa la molle influenza del clima e dei costumi e lasci che una delle più nobili città d'Italia sia, tra noi editori, ricordata con spavento come asilo immune di tutti i pirati ed i falsari del regno. Un poco di buona volontà potrebbe liberare noi dal danno e la nobile città dall'onta: poca, pochissima buona volontà potrebbe far tacere le infami calunnie che già cominciano a serpeggiare colla nota terzina di Carlo Porta:
- Ma quand pœu ve sentissev quai ribrezz
- Perchè a dì, san nïent, l'è un dagh de l'asen,
- Giustemmela e disii che fan a mezz.
Ma chiedere solo un poco di buona volontà sembra troppo.
Un mio collega persuaso del proverbio chi vuole vada e chi non vuole mandi, corre a quella beata città e si presenta a chi di ragione per denunziare una contraffazione commessa in suo danno. È ricevuto da tutti i personaggi cui si dirige, con ogni cortesia e premura, tanto che in un giorno riesce a fare quello che per solito richiede un mese di tempo; riesce cioè a far passare la propria querela al giudice istruttore, e parte persuaso che tutto sia ormai finito. Passano i giorni e, non vedendo altro, s'informa. La querela riposava ancora sullo scrittoio dell'egregio magistrato il quale attendeva la querela mia (ma non ne ho fatte abbastanza?) e quella di altre case editrici per sbrigarle tutte insieme e farne una faccenda sola. Non mi spetta discutere il provvedimento; solo mi permetto di domandare che risultato si può sperare dalle perquisizioni future? I carabinieri arriveranno come sempre toujours trop tard e i ladri avranno già messo i loro guadagni alla Cassa di Risparmio.
Mi pare che sarebbe meglio dichiarare apertamente e subito che le nostre querele non sono che seccature e che non se ne vuol più sapere. Si dica almeno che bisogna chiudere un occhio sopra un'industria così fiorente e così vantaggiosa alla città. Tanto e tanto, questa nuova formula protezionista è già applicata; si potrebbe dunque avere anche la franchezza di proclamarla e così, chi reclamasse poi, avrebbe torto.
Ma volete un ultimo esempio del modo col quale si eseguisce in Italia la legge sulla stampa? Eccolo, ed è bello.
Pochi mesi fa si fece il censimento generale e le schede vennero da Roma. Le schede come tutti hanno potuto vedere, non erano piccoli pezzi di carta, ma lenzuoli stampati che cadono sotto la sanzione della legge sulla stampa. Ora nessuna di quelle schede portava la menzione della tipografia come la legge prescrive, sotto pena di multa.
Tutti i cittadini, da Sua Maestà il Re fino all'ultimo spazzaturaio, hanno dovuto riempire la loro scheda: ma di tanti Procuratori del Re, Sostituti e simili che pure l'avranno avuta sott'occhio, se l'hanno riempita, non ce n'è stato uno che abbia adempiuto al proprio dovere indiscutibile, che era quello di procedere a norma di legge. Tutti, dal Guardasigilli all'ultimo Pretore, hanno stimato che la legge sulla stampa non valesse la pena di essere applicata; hanno creduto perfettamente abrogato dalla consuetudine un articolo chiaro, ragionevole: tutti, fino all'ultimo, non hanno forse nemmeno pensato che quella legge è fatta per essere eseguita e che loro dovere preciso è di farla eseguire.
Questa è la forza che le leggi sulla stampa hanno presso di noi. Il Governo per primo le infrange e chi dovrebbe farle eseguire non ci pensa nemmeno.
E allora, perchè obbligate noi editori onesti a fare il deposito e ci condannate se non lo facciamo? Vige dunque la legge solo in quanto è vessatoria per noi? In questo caso si potrebbe almeno risparmiare la carta delle circolari.
È deplorevole che nei nostri negozi torni più il conto rubare che lavorare onestamente; ed è poi deplorevolissimo che il modo con cui sono eseguite le leggi da noi, tenda a persuadere gli editori a lasciare le vie della onestà per darsi a quelle del ladrocinio. Effetto davvero moralizzatore se ce ne fu mai!
In questo stato di cose che sugo c'è per noi editori a discutere come e dove la legge dovrebbe essere modificata? C'è sugo a domandare che la proprietà letteraria, frutto di un lavoro individuale che non è negato nemmeno dai socialisti, sia proclamata proprietà come ogni altra, e allo stesso modo tutelata? C'è sugo a domandare che il furto fatto ad un editore o ad un autore sia reato di azione pubblica come quello fatto ad un vignaiuolo o ad un ciabattino, senza che ci sia bisogno di denunzie perchè se ne occupi l'autorità. Che sugo c'è, domando, se quando anche fosse riconosciuto per legge che non si può rubare ad un editore, la legge deve poi essere eseguita allo stesso modo? Tanto vale lasciar le cose come stanno.
L'altro ieri dicevano nella mia bottega che quando vennero fuori le edizioni della Gerusalemme fatte senza il consenso dell'autore negli Stati della Chiesa e altrove, il duca Alfonso protestò più vivamente che se gli avessero invaso gli Stati ed agì in conseguenza. Vorrei vedere quel che accadrebbe ora al povero Tasso se gli falsificassero la Gerusalemme nella stessa Ferrara. Sono certo che quel R. Procuratore del Re è uno specchiato galantuomo e puntuale esecutore del proprio dovere; ma egli non procederebbe se Torquato Tasso del fu Bernardo e De Rossi Porzia, celibe, letterato, ecc. ecc., non presentasse la sua brava querela in carta bollata da lire 1,20, nelle ore d'ufficio e con tutte le formalità necessarie. Ricevuta la querela, chiederebbe al poeta:
- Bravo lei! E chi le ha fasificato il libro?
- Non lo so, signor cavaliere.
- Non lo sa? E allora perchè viene da me? Una querela si dà contro una persona, mi pare. Crede lei che io non abbia altro da fare? Cerchi il ladro, me lo denunzi e me lo venga a dire; se no, io non posso farle nulla. Stia bene e badi che la scala è buia. -
Il Procuratore del Re farebbe il suo dovere e del resto il Tasso è sepolto sul Gianicolo e il duca Alfonso, si sa, era un tiranno e un poco di buono. Noi invece siamo i fortunati che viviamo in tempi di libertà e di giustizia: noi siamo i felici che vediamo scritto nelle aule della giustizia a lettere cubitali "la legge è uguale per tutti".
Massima santa; ma ci crede lei? Io... Così così.