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Giambattista Vico

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VITA

Molte delle notizie riguardanti la vita di Giambattista Vico sono tratte dalla sua Autobiografia (1725-28) scritta sul modello letterario delle Confessioni di sant'Agostino. Da quest'opera Vico cancellerà ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per il pensiero cartesiano che avevano cominciato a diffondersi a Napoli ma subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose che le consideravano moralmente perniciose e in violazione dell'Indice dei libri proibiti.

Giambattista Vico nacque a Napoli nel 1668 da una famiglia di condizione modesta. Intraprese studi umanistici e tra il 1686 ed il 1695 visse nel castello di Vatolla in qualità di precettore dei figli del marchese Rocca, della cui ricca biblioteca approfittò per approfondire la propria cultura. Nello stesso periodo si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Napoli, dove si laureò tra il 1693 ed il 1694.

L'anno successivo tornò a Napoli al fine di esercitare l'avvocatura. Quattro anni più tardi ottenne la cattedra di retorica presso l'università della sua città, cattedra che tenne fino alla morte, avvenuta nel 1744. Durante tutta la sua esistenza i suoi scritti conobbero una diffusione molto limitata.

« [incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Cominciò adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, era di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza....Il fiaccato corpo del saggio vecchio andò in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che aveva perduto quasi interamente la memoria fino a dimenticare gli oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi delle cose più usuali... »


PENSIERO

La polemica contro Cartesio Fin dai suoi primi scritti, Vico cerca di mettere il luce quelli che a suo parere sono i limiti del metodo elaborato da Cartesio. Infatti, se applicato in maniere esclusiva, questo bloccherebbe ogni possibilità di sviluppo per le scienze morali (storia, diritto, politica).

Alla ragione, alla critica ed alla dimostrazione, che rappresentano i capisaldi del metodo cartesiano, vengono contrapposti l'ingegno, l'arte retorica e l'invenzione, quegli aspetti cioè dell'atteggiamento umanistico che sono la caratteristica distintiva del sapere storico.

Il vero e il fatto Il fondamento teorico delle critiche al metodo cartesiano è costituito dalla dottrina del verum-factum (norma del vero e l'averlo fatto). Il vero, infatti, corrisponde al fatto e perciò ciò di cui si può avere scienza consiste in ciò che si è in grado di fare o di rifare. Solo Dio, il creatore, possiede la piena conoscenza della natura e dell'essere umano.

In tali campi, il metodo di Cartesio non conduce ad un sapere vero, ma esclusivamente al verisimile. L'uomo può raggiungere la vera chiarezza nel campo della geometria e della matematica, in quanto questi sono sua opera.

La scienza nuova Oltre alla matematica ed alla geometria, una tipica produzione dello spirito umano è la storia. Della storia, quindi, si può avere una conoscenza vera. Quella che Vico chiama la scienza nuova si basa sulla sintesi di astratto e concreto, universale e particolare. La filosofia è scienza dell'universale, la filologia è scienza del particolare. Queste non sono attività separate, perché non sono concepibili l'una senza l'altra.

La filosofia si occupa dell'idea, il vero; la filologia si occupa del fatto, il certo. La scienza nuova si occupa di accertare il vero e di inverare il fatto, questa è scienza dell'universale applicato al concreto e del particolare spiegato attraverso l'idea.

La filosofia della storia Se inquadrata nell'ottica di questa nuova scienza, la storia non è un succedersi di eventi slegati gli uni dagli altri, ma deve avere in sé un ordine fondamentale e delle leggi che la governano. La storia si muove nel tempo, ma sul fondamento di un ordine universale ed eterno, trascendente rispetto alla storia particolare delle singole nazioni. Tale "storia ideale eterna" costituisce la norma verso cui la storia concreta deve elevarsi. Essa è tripartita: a un'età degli dei, caratterizzata dai "bestioni" o uomini primitivi (privi di capacità riflessiva, ma dotati di forti sensi), seguono un'età degli eroi (caratterizzata dal predominio della fantasia sulla riflessione razionale) e un'età degli uomini, o della ragione dispiegata. La scansione di queste tre età rappresenta il ciclo dell'incivilimento dell'uomo.

Tale risultato di incivilimento è però del tutto sproporzionato alla modestia dei fini e dei mezzi umani. L'incivilimento è l'esito di una eterogenesi dei fini, cioè della collaborazione di due menti, l'umana e la divina (sotto forma di Provvidenza), i cui fini diversi conducono al medesimo risultato. La ragione dispiegata, che è propria della terza età storica, è in grado di chiudersi e ribellarsi alla Provvidenza, ma in tal modo provoca l'arresto dell'incivilimento e la caduta nella barbarie della ragione. Il processo di incivilimento può assumere così un carattere ciclico, perché, quando una civiltà riprecipita nella barbarie, le forme mentali delle tre età storiche si ripresentano secondo la loro scansione. Questa dottrina dei ricorsi storici ci mostra come la civiltà raggiunta non debba mai essere considerata come una conquista definitiva.


OPERE

A parte le varie orazioni inaugurali dell'anno accademico, tra cui qui si ricordano il De antiquissima Italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda (1710) ed il De uno universi iuris principio et fine uno (1720), tra le opere di Vico assumono particolare importanza la Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo (1725) e soprattutto i Pricipii di scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni (editi in tre edizioni, nel 1725, nel 1730 e nel 1740).

« I latini... dicevano che la mente è data, immessa negli uomini dagli dei. È dunque ragionevole congetturare che gli autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee negli animi umani siano create e risvegliate da Dio [...] La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio conosco la mia propria mente. »

« Gli uomini prima sentono senza avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura »