Jump to: navigation, search

Esperimento di Milgram

Il celebre esperimento di Milgram

Milgram.jpg

La procedura base adottata da Milgram (1974) era incentrata sul reclutamento di 40 soggetti di sesso maschile, di diversa età e livelli socio-professionali, attraverso la pubblicazione di un annuncio pubblicitario sulla stampa. Tale annuncio prevedeva, tra l'altro, un modico compenso più un rimborso spese per i partecipanti all'esperimento, basato sullo studio della memoria e sulla valutazione delle "punizioni" impartite ai soggetti sperimentali ai fini dell'apprendimento. Questa prima ricerca fu condotta in un laboratorio altamente specializzato, dotato cioè di numerose attrezzature avanzate, presso l'Università di Yale. I partecipanti presentatisi per la ricerca furono accolti e messi al corrente in maniera dettagliata delle finalità da raggiungere. Tutto ciò avrebbe conferito maggiore credibilità all'esperimento messo in atto dallo speri-mentatore. Lo scopo dell'indagine consisteva in ciò: per ogni prova venivano condotti nella sala da laboratorio due soggetti sperimentali, di cui uno era, in realtà, un collaboratore dello sperimentatore, addestrato a fingere, però, di essere un soggetto ignaro delle vere finalità sottese alla ricerca.

Con piccoli trucchi del mestiere, si cercò di assegnare "a sorte" al soggetto ingenuo la funzione di maestro, che avrebbe avuto il compito di leggere una serie di coppie di parole associate al finto soggetto (il collaboratore dello sperimentatore): per esempio, "cielo/blu", "anatra/ selvaggia", e così via … . Quest'ultimo, di fronte ad un elenco di quattro parole, avrebbe dovuto scegliere poi quella che, per convenzione, era stata associata alle coppie precedenti. Naturalmente, il trucco consisteva nel fatto che il collaboratore volutamente sbagliava, in quanto, così facendo, il soggetto lo avrebbe dovuto punire, su ingiunzione dello sperimentatore ufficiale, sommini-strandogli delle scariche elettriche (simulate) e abbassando, quindi, di volta in volta e in modo crescente, una delle trenta leve che andavano da 15 volts fino a ben 450 volts. In questa fase dell'esperimento, inoltre, diverse cose erano state messe a punto affinché tutta la procedura risultasse altamente credibile. Così, le scosse impartite al finto soggetto, seduto su una sedia elettrica, erano ovviamente soltanto apparenti; ma questo, per farle credere vere, simulava il dolore, gridando sempre più man mano che l'intensità delle scosse aumentava all'aumentare del numero degli errori di memoria compiuti.

Così, inoltre, si fece credere al soggetto ingenuo che le scariche venivano realmente conferite, facendolo sedere inizialmente sulla sedia elettrica e somministrandogli una vera scossa d'intensità moderata, pari a 45 volts. Così, infine, scrivendo sul generatore elettrico, dove erano collocate le 30 leve raggruppate per intensità di scosse, in corrispondenza dei vari gruppi, il tipo di scossa, secondo che fosse "leggera", "moderata", "forte", "intensa", "estremamente intensa", ovvero scrivendo addirittura: "attenzione: scossa con pericolo di morte" (!).

La procedura abituale, rispetto alle varianti successivamente introdotte, prevedeva che il finto soggetto venisse fatto sedere su una sedia elettrica, a sua volta collocata in una stanza adiacente a quella in cui si svolgeva il "vero" esperimento: in questo modo il soggetto sperimentale, al momento dell'abbassamento della leva, udiva a distanza le (false) urla provenienti dal collaboratore. A partire da 75 volts, poi, quest'ultimo cominciava a gemere; a 120 volts gridava che le scosse erano dolorose; a 135 volts urlava; a 150 volts diceva di non voler continuare più l'esperimento (lo sperimentatore gli chiedeva, però, di continuare lo stesso); a 180 volts gridava di non farcela più; a 270 volts emetteva un grido d'angoscia; a partire da 300 volts, infine, rantolava e non rispondeva più alle domande.

Milgram1.jpg

Veniamo ora al punto cruciale della ricerca. Con l'aumentare dell'intensità della scossa emessa, nasceva nel soggetto ingenuo un conflitto sempre più crescente, un forte stato d'ansia, dettato dal fatto di "sentirsi" in dovere di obbedire all'autorità (impersonata dallo sperimenta-tore), che chiedeva, nonostante tutto, di continuare l'esperimento fino alla sua conclusione; conclusione che avveniva solo dopo aver costatato l'ostinato rifiuto del soggetto ad obbedire a molteplici esortazioni fatte dallo sperimentatore.

Lo sperimentatore ingiungeva di continuare l'esperimento, con frasi del tipo "continuate, per piacere", "vi prego di continuare"; "l'esperimento esige che si continui"; "è assolutamente indispensabile continuare"; "non avete scelta, dovete continuare !". Solo dopo tali esortazioni, un rifiuto ulteriore del soggetto avrebbe interrotto l'esperimento. Alla fine della procedura, lo sperimentatore rivelava le vere finalità della ricerca, sottolineando l'importanza della finzione come unica via per garantire efficacia e credibilità a quanto si voleva argomentare in proposito. Ma vediamo, allora, i primi risultati dell'indagine di Yale, considerati ancora oggi, per la loro portata, davvero sorprendenti. Dopo avere effettuato diverse prove, si è potuto accertare che la scossa massimale media inflitta alle "vittime" dai soggetti obbedienti raggiungeva ben 360 volts (rispetto ai 120 volts appena previsti in un'indagine a campione condotta su studenti, adulti di classe media e psichiatri); ma soprattutto che ben il 62,5%, e cioè due su tre, dei soggetti posti sotto sperimentazione aveva obbedito fino all'ultima scossa di 450 volts (!).

Eppure, quest'ultimo grado d'intensità prevedeva il "pericolo di morte" … . E' possibile allora che una siffatta obbedienza ad un'autorità legittima, che rappresenta in questo caso la scienza nel suo complesso, possa produrre conseguenze così nefaste, pur se fittizie?! [Per l'esperimento cfr. Doise - Deschamps - Mugny op. cit., pp. 144-146]. Come ci ricorda Mucchi Faina, citando la riflessione di un altro studioso [Miller 1986], un problema non secondario dell'indagine risiedeva nel fatto che "l'ansia dimostrata dai soggetti durante l'esperimento fece apparire con chiarezza lo straordinario impatto dell'autorità: un campione di soggetti presumibilmente normali, di "brave persone", era stato indotto ad andare contro i propri princìpi, accanendosi con una vittima che si lamentava, solo per eseguire un ordine che veniva dall'autorità" [1996, p. 46]. D'altronde, come l'esempio riportato all'inizio di questo capitolo ci ha mostrato, un'Autorità che vada contro la vita e la dignità dell'uomo, e non sia al servizio di questo, per quanto possa assumere le sembianze della "legittimità", può considerarsi a tutti gli effetti disumana e, per questo, immorale. Prima di trarre, comunque, conclusioni di carattere generale sul fenomeno, è opportuno completare il quadro delle ricerche condotte da Milgran, citando i risultati di alcune variabili introdotte successivamente dallo studioso nell'esperimento campione.


Scritto da: Marco Coroniti, 29 anni, si è laureato in Scienze Politiche all'Università "FedericoII" di Napoli il 25 marzo 1999. Ha presentato, come tesi di laurea in psicologia sociale, uno studio approfondito sui "processi" di influenza sociale che permeano le relazioni interpersonali all'interno di un contesto sociale. Si è così tracciato, nel percorso tesistico, un quadro dei diversi fenomeni che possono caraterizzare un processo di influenza sociale: dalla manifestazione prorompente del pensiero che assume un "gruppo maggioritario" dominante nella società, ad un particolare tipo d'influenza proveniente da una fonte specifica, l'Autorità, per giungere al potere non trascurabile esercitato da minoranze attive ed influenti, che, in particolari condizioni, possono rompere la catena del consenso sociale. [1]